2010 - Summer School Roma

SUMMER SCHOOL

- Roma 2010 - 

SUMMER SCHOOL AIDOSS 2010

"Servizio sociale: il progetto formativo del prossimo decennio"

Roma 16 - 17 -  18 settembre

LACANDINA

 

L’importante processo di consolidamento nell'Università italiana della formazione al Servizio Sociale, accompagnato dal fiorire di una pubblicistica scientifica specifica, presenta ancora, nella sua realizzazione, alcune criticità che rendono talora difficile attivare percorsi formativi di qualità, in particolare per la formazione di elevata competenza che deve essere propria della professione di Assistente Sociale; è perciò ormai indispensabile provocare anche nel nostro Paese, come già accade nella gran parte dei paesi d’Europa, occasioni in cui poter ridiscutere sulla progettazione dei corsi di studio, di curricula specifici e professionalizzanti, costruiti in un'ottica modulare sulla base delle competenze, potendo articolare attività e training specifici, percorsi dedicati di tutorship, curare le forme più attuali di apprendimento attraverso l'esperienza di tirocinio, sviluppare attività di didattica e di ricerca specifiche da parte dei dipartimenti universitari in sinergia con il mercato del lavoro all’interno delle politiche sociali che vanno prospettandosi per i prossimi anni.

L’Aidoss, con questa iniziativa, si fa carico di avviare una ripresa di progettualità formativa e di promuovere un nuovo impegno per qualificare gli operatori che concretamente divengono co-artefici del sistema integrato di welfare, sia a livello locale che nazionale.

 

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Riflessioni Sulla Summer School 2010

Maria Dal Pra Ponticelli

 

Si è svolta presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre l’annuale Summer School dell ‘AIDOSS sul tema: “Servizio sociale: il progetto formativo del prossimo decennio” con l’intento propositivo di riflettere sull’oggi per prospettare e preparare il domani di una formazione e di una  operatività professionale più adeguata all’evolversi dei bisogni sociali e alla trasformazione del sistema di welfare.

Le parole chiave che ha sottolineato  il Segretario dell’Aidoss Luigi Gui – progresso, cambiamento, responsabilità – sono state il filo conduttore delle riflessioni emerse dagli interventi dei relatori e dai lavori di gruppo dei numerosi partecipanti. Lo slogan che possiamo ricavare da questi giorni di incontro e di riflessione potrebbe essere: “Dalla crisi alla ricerca e realizzazione di possibilità di cambiamento attraverso la responsabilità e l’impegno comune per un reale progresso nella formazione e nell’operatività del servizio sociale”. E’stato sottolineato e auspicato che, poichè “solo insieme si può”,  l’Aidoss deve poter divenire a livello territoriale un attivo punto di riferimento,uno strumento di reciproca conoscenza e riflessione ma anche di sostegno e di scambio di esperienze, una “comunità scientifica” vitale e visibile. 

 

1 – E’ difficile riferire diffusamente sui vari temi approfonditi dagli interventi e dai lavori di gruppo ma può essere importante sottolineare gli spunti più interessanti da essi scaturiti. Prima di tutto è stato ribadito da vari relatori ( Rambuadi, Dente) lo stretto rapporto fra servizio sociale e politica sociale, sia nazionale che locale, in quanto l’assistente sociale è un “operatore di Welfare” che ha il compito di rendere esigibili a livello individuale e comunitario i servizi e gli interventi di welfare. Ma è anche –o dovrebbe sempre più diventarlo – un attore importante per la definizione  e la realizzazione degli orientamenti di politica sociale del proprio territorio perché l’A.S.  è un “esperto del territorio”, ne conosce le esigenze e le aspettative e deve essere in grado di prospettarle a chi ha il compito di decidere sulle risposte da offrire. Nel progetto formativo del prossimo decennio bisogna quindi fare ogni sforzo perché siano presenti nel piano di studi del servizio sociale insegnamenti di politica sociale anche regionale (Burgalassi)  e nelle esperienze di tirocinio questa dimensione dell’operatività professionale possa essere presente e riesca a sviluppare negli studenti una curiosità, una sensibilità politica affinchè la prospettiva politica  nella quale ci si pone rispecchi il mandato professionale con i suoi principi e i suoi valori.

 

2 – L’altra sottolineatura da fare riguarda il tema dell’orientamento della formazione al servizio sociale verso l’acquisizione di “competenze” intese come “la capacità di rendere operative le conoscenze teoriche e tecniche  acquisiste” come ha evidenziato la relazione di Silvana  Giraldo.

Le competenze da acquisire e da esprimere nel contesto operativo riguardano principalmente tre ambiti.

- Competenze relazionali, sia nei confronti dell’utenza  ma anche delle reti sociali, della comunità,delle istituzioni pubbliche e private, orientate a sviluppare capacità promozionali di ricerca attiva  di soluzioni possibili. Per l’assistente sociale attivare relazioni non è fare “counseling”,non è attivare la dimensione psicologica nel rapporto ma ha una valenza politica perché tende a destare riflessioni,a promuovere la partecipazione,l’autodeterminazione,a reperire risorse ,promuoverle,attivarle per la ricerca di soluzioni innovative. Il tirocinio deve essere in grado di sviluppare questa sensibilità negli studenti,renderli capaci di instaurare relazioni propositive e promozionali a tutti i livelli.

- Competenze organizzativo-gestionali attraverso una formazione teorica che comprenda insegnamenti di economia,diritto,politica sociale,organizzazione attraverso la quale gli operatori siano in grado di cogliere l’importanza degli aspetti economici del loro lavoro,di sviluppare la capacità di valorizzare le risorse umane dell’istituzione  e del contesto in cui operano, la sensibilità  di saper rispettare  ma anche innovare i regolamenti e le prassi amministrative.

- Competenze progettuali che pongano in grado l’operatore di individuare le linee portanti di progetti individualizzati e comunitari,tenendo conto delle reali esigenze delle persone e dei contesti, della dimensione etica delle scelte prospettate,della compatibilità economica degli interventi previsti,della capacità di svolgere un ruolo regolatore e negoziale.

La centralità di una formazione basata sulle competenze ,come ha ricordato A.M. Campanini, è stata sottolineata recentemente sia da documenti internazionali (descrittori di Dublino, i Global  Standard cioè le Linee guida internazionali per la formazione degli assistenti sociali) sia da decreti del nostro governo (DM 270/ 2004 su i descrittori dei vari titoli di studio).

 

3- Sono stati particolarmente significativi l’intervento di C. Facchini che ha riportato i dati di una recente ricerca interuniversitaria sulla figura dell’Assistente sociale “Gli assistenti sociali. Analisi di un professione in trasformazione” dalla quale si evidenziano le difficoltà che la professione oggi incontra per l’inserimento nel mondo del lavoro in un contesto di welfare in  profonda trasformazione. E soprattutto l’intervento del Prof. Frudà, autorevole membro del Consiglio universitario nazionale, che ha tracciato le linee sulle quali la formazione al servizio sociale  dovrebbe muoversi per affermare la propria fisionomia di disciplina scientifica e di professione con un  mandato sociale riconosciuto e visibile e le difficoltà che si incontrano in questo cammino.  L’intervento del  prof. Lorenz, Assistente sociale e Rettore dell’Università di Bolzano, ha dato le coordinate per lo sviluppo di una formazione al servizio sociale di alto livello in grado di perseguire l’acquisizione delle competenze previste e prescritte dagli organismi internazionali e ribadite da documenti della EASSW che impone una profonda revisione e un impegno da parte dell’Aidoss e dell’Ordine per perseguire traguardi di maggiore spessore teorico e tecnico nella formazione e nell’operatività. 

 

4 – Un aspetto evidenziato  nelle relazioni (Merler,Rizzo) e nel dibattito dei gruppi è stato quello  delle criticità che si evidenziano oggi, sia nella formazione  che nel contesto operativo ed è stato importante, rispetto a queste, evidenziare i “ punti di forza” su i quali far leva per  essere in grado di affrontare le situazioni senza lasciarsi sopraffare.  Un punto di forza potrebbe essere quello di operare con spirito critico nel proprio contesto, sia accademico che professionale, cercando di individuare tutte le possibili soluzioni anche di piccolo raggio cercando  di integrare i diversi elementi con l’obiettivo di produrre cambiamenti, sia pure provvisori e parziali attraverso modalità di adattamento creativo e innovativo. E’ importante in questa prospettiva anche  la capacità di sperimentare  tutte le soluzioni che  appaiono possibili,di promuovere occasioni di incontro e di confronto per tentare, per esempio in ambito accademico, di realizzare momenti o occasioni di interdisciplinarietà ,di diffondere nei servizi esempi di “buone prassi”.

E’ stato sottolineato che sotto questo profilo può essere molto importante costituire a livello locale gruppi fra docenti e operatori,integrazioni fra Aidoss e Ordine in modo da prospettare spazi innovativi per la docenza e il  tirocinio,per riflettere insieme  su quali possano essere traguardi possibili per lo sviluppo della formazione permanente,per possibili ricerche volte alla valutazione dell’operatività professionale o ad una migliore delineazione della figura professionale dell’assistente sociale e del docente di insegnamenti professionali.

 

5- Per concludere possiamo dire che la Summer School si è dimostrata un’occasione molto importante perché da questo confronto si è potuti uscire più consapevoli della  situazione di crisi in cui ci troviamo, sia  sul versante della formazione  che in quello dell’operatività, ma anche con un rinnovato desiderio di  “darci da fare per i prossimi 10 anni” (come hanno sottolineato i gruppi  di lavoro) perché “insieme si può” come lo slogan di questo incontro ci suggerisce.

 

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L’Università sede di confronto e di costruzione di un sapere professionale in relazione con le politiche sociali

Marco Burgalassi - Università di Roma Tre

 

Mi è stato chiesto di intervenire su “l’Università come sede di confronto e di costruzione di un sapere professionale in relazione con le politiche sociali”; ed è mia intenzione attenermi alla sollecitazione del titolo, senza addentrarmi in una riflessione a tutto campo sul rapporto tra la dimensione della policy e quella del servizio sociale (anche se, detto per inciso, si tratta di un tema che meriterebbe maggiore attenzione). Voglio infatti rimanere alla questione del rapporto tra politiche sociali e sapere professionale nello specifico contesto dell’istituzione universitaria; un contesto che, come è noto, ha un duplice mandato, essendo il luogo deputato alla trasmissione del sapere professionale consolidato e codificato ma anche allo sviluppo di una ricerca e di una riflessione in grado di delineare orizzonti conoscitivi nuovi. Tenendo presente il titolo di questa Summer School (Servizio sociale: il progetto formativo del prossimo decennio), proprio rispetto a questo duplice ruolo dell’Università intendo svolgere un ragionamento nel merito di due precise questioni ovvero:

 

1. come i percorsi universitari rispondono oggi all’esigenza di formare i futuri professionisti sul terreno della politica sociale e quali criticità si possono rilevare su questo fronte

2.  in quale modo università e mondo della professione possono tra loro interagire per identificare itinerari di ricerca sulle politiche sociali orientati, sostenuti e alimentati dal sapere professionale. La prima questione su cui intendo soffermarmi è dunque quella relativa a come l’università risponde all’esigenza di assicurare agli studenti di servizio sociale conoscenze e competenze adeguate sulla politica sociale e quali criticità questo mandato può incontrare. Nel corso degli studi universitari i futuri professionisti acquisiscono un set di conoscenze in materia di politiche sociali che è parte essenziale del loro sapere. La ragione per cui la politica sociale rappresenta una parte essenziale del sapere professionale è evidente. Un assistente sociale che intenda mettere in campo interventi adeguati  deve essere preparato a considerare in modo appropriato le condizioni sociali e istituzionali entro cui si trova ad agire; in sostanza, deve conoscere le modalità di funzionamento dei sistemi di protezione sociale, i processi che li possono interessare e le trasformazioni che questi processi possono comportare, i tratti essenziali dei diversi modelli di welfare e le implicazioni che ne derivano anche sotto il profilo del corretto impiego del sapere professionale.  Ma non si tratta solo di questo. Le conoscenze di politica sociale hanno un rilievo decisivo anche in altra direzione. L’odierno scenario del welfare, come noto, è segnato da profondi mutamenti, le cui implicazioni ricadono in modo diretto e importante sull’agire del professionista dei servizi sociali. Se questo rende oggettivamente più complesso per il professionista operare all’interno di questo scenario, è altrettanto vero che in esso si aprono anche nuove opportunità per la professione. Uno dei più significativi cambiamenti avvenuti in questi anni è infatti rappresentato dalla centralità che – giusto il principio della sussidiarietà – viene oggi attribuita alla dimensione locale. A questa centralità si accompagna evidentemente un inedito protagonismo dei soggetti che nella dimensione locale agiscono e assumono rilievo; e in una situazione del genere per gli assistenti sociali prende consistenza la possibilità di essere parte attiva del processo di costruzione delle politiche sociali locali, di acquisire lo status di attori a tutti gli effetti di un processo che spesso li ha considerati quasi come meri esecutori. Ma questo passaggio di ruolo si realizza in modo effettivo se e solo se essi sono portatori su questo specifico terreno di conoscenze e competenze appropriate. Il possesso di un adeguato patrimonio di sapere sugli elementi e sulle condizioni che definiscono il contesto entro cui i servizi sociali si collocano e vengono realizzati costituisce quindi uno dei presupposti che permettono all’assistente sociale per un verso di poter agire in modo maggiormente appropriato ed efficace e, per altro verso, di poter contribuire positivamente nell’orientamento e nella dinamica del welfare locale. A fronte di queste circostanze, nel progetto e nella prassi formativa di tipo universitario le politiche sociali sembrano ricevere una attenzione inferiore alle attese. E questo non perché la rilevanza delle questioni di cui ho detto sia sottovalutata; semplicemente vi sono una serie di variegate circostanze che concorrono a “limitare” le potenzialità formative degli studenti di servizio sociale nell’ambito delle politiche sociali. Provo a spiegarmi meglio richiamando qualche numero. Nel passato anno accademico sono stati attivati in Italia 41 corsi di laurea triennale e 37 corsi di laurea di II livello. Di questi, 62 si sono presentati nella forma rinnovata del DM 270 (35 per L39 e 27 per LM87). Facendo una verifica nel dettaglio della offerta formativa che essi hanno proposto, ciò che emerge è che soltanto in 30 CdL risulta essere presente un insegnamento di “politica sociale”. E’ assai verosimile – direi che è certo – che anche là dove non è espressamente codificata in un esame, la politica sociale venga sia materia di insegnamento, magari collocandone il programma all’interno di altre discipline; e quindi che, in definitiva, questo “spazio formativo essenziale” viene comunque coperto. Ma la certificazione di una “non centralità” della disciplina nella costruzione del sapere professionale appare comunque come un dato significativo. 

La ragione di ciò credo risieda essenzialmente nella struttura del nuovo format. La riduzione del numero degli esami combinata con l’ampio frazionamento degli ambiti disciplinari che caratterizza il corso di laurea in servizio sociale (psicologico, giuridico, storico-antropologico, ecc) lascia poco margine di manovra per un adeguato collocamento della politica sociale (oltre che delle stesse discipline professionali, per le quali incide naturalmente anche la ridotta presenza di docenti strutturati – a fronte della necessità di rispondere a precisi requisiti di docenza). Ma anche la spiegazione ragionevole legata alle esigenze di format lascia aperta e irrisolta la questione chiave del come assicurare agli studenti l’acquisizione di adeguate competenze di politica sociale

Su questo fronte, poi, esiste anche un altro elemento che si pone in termini di criticità. Si tratta della sostanziale difficoltà di poter confidare su una acquisizione “prolungata” delle competenze in materia di politica sociale da parte degli studenti di servizi sociale. Che cosa intendo dire: voglio dire che mentre in altri corsi di laurea è abbastanza normale attendersi una formazione del sapere modulata nel corso di 5 anni, prima con una preparazione di base (3) e poi con quella qualificata (2), nel caso degli assistenti sociali la realtà si presenta di tutt’altro tipo. Se infatti in generale la riforma del 3+2 registra un tasso di prosecuzione dopo la laurea di I livello abbastanza significativo (sull’ordine del 60-65% dei laureati) questo è assai meno vero per la laurea in servizio sociale. I laureati triennali solo nel 38% dei casi decidono di proseguire gli studi accedendo alla laurea magistrale; e la ragione di questo risiede in parte nelle attese lavorative degli studenti di servizio sociale a cui corrisponde una discreta capacità di penetrazione del titolo di studio nel mercato del lavoro e in parte nella percezione di una sostanziale mancanza di ulteriori e concreti sbocchi occupazionali propri della laurea di II livello. Al di là di ogni considerazione sulla funzionalità della struttura del corso di laurea al comportamento degli studenti in uscita e alle esigenze del mercato del lavoro, quello che a mio avviso merita attenzione è il fatto che la combinazione tra una offerta formativa di politica sociale che nel triennio spesso risulta essere di tipo basic e il modesto tasso di iscrizione alle lauree magistrali può determinare negli assistenti sociali un gap oggettivo su questo fronte; e quindi una loro ridotta capacità di saper essere interlocutori costruttivi nei processi della policy locale. Insomma una lacuna sul versante delle politiche sociali può configurarsi come una penalizzazione per il ruolo che il sapere professionale può rivestire nei processi di trasformazione del sistema di welfare. Passo ora alla seconda questione di cui ho già detto voglio trattare e cioè in quale modo università e mondo della professione possono tra loro interagire, promuovendo la costruzione di itinerari di riflessione sulle politiche sociali che siano alimentati dal sapere e dall’esperienza professionale.

A questo proposito l’elemento da considerare è che gli assistenti sociali rappresentano l’unico vero universo di “testimoni privilegiati” per quelle che sono le vicende dei sistemi territoriali di welfare. Sono i professionisti del servizio sociale, infatti, coloro i quali si trovano nelle condizioni di poter verificare sul campo la performance delle misure di policy; che si trovano nelle condizioni di poterne valutare l’appropriatezza, l’efficienza e l’efficacia. Il contributo in termini di “analisi competente” che l’assistente sociale può offrire costituisce dunque un passaggio ineludibile nella costruzione di processi riflessivi sulle politiche sociali.

Vi è però anche un altro elemento. L’esigenza di ricalibratura di cui necessitano costantemente le politiche sociali presuppone la disponibilità di riscontri sul cambiamento della domanda sociale, sull’emergere di nuove situazioni problematiche o di nuovi soggetti (oppure sulla sperimentazione di nuove modalità di risposta); e questi riscontri possono essere forniti soltanto da operatori qualificati e competenti.

Resta da chiedersi quali canali possano assicurare una “risalita” delle analisi e delle valutazione che possono essere formulate dal professionista. Occorre insomma capire in quali circostanze – occasionali o sistematicamente organizzate – sia possibile creare una connessione tra università e mondo della professione per promuovere una riflessione sulla policy alimentata e anche orientata dalla “sensibilità” professionale.

E’ evidente che sotto questo profilo la collaborazione tra strutture universitarie e organismi del mondo professionale è assolutamente auspicabile; e in realtà si è anche più volte concretizzata attraverso PRIN o ricerche su base territoriale. Certamente i dottorati in servizio sociale possono essere un propulsore in questa direzione. Questi dottorati sono infatti essere il luogo in cui si svolge una riflessione particolarmente qualificata sul sapere e sull’agire professionale; e però occorre anche dire che le esigenze di approfondimento sui temi del servizio sociale sono così ampie e variegate che alla fine nelle tesi di dottorato l’interesse per le problematiche di politica sociale rimane spesso non praticato o comunque appena segnalato.

Appare comunque necessario che una connessione tra la ricerca universitaria e le suggestioni che vengono dal mondo della professione trovi sistematicamente occasioni di sviluppo. E su questo credo che anche il ruolo dell’AIDOSS possa essere particolarmente efficace. E’ però anche vero che le difficoltà per promuovere e sostenere la ricerca appaiono in questo frangente particolarmente consistenti. Per questo io credo che per la crescita della ricerca nell’area del servizio sociale e anche sul rapporto tra politica sociale e sapere professionale sia possibile cogliere una opportunità che oggi viene dal riordino delle classi di laurea magistrali.

Faccio riferimento alle 250 ore di stage previste nel format della nuova LM 87, che ritengo siano uno spazio formativo in larga misura ancora da costruire e che potrebbe appunto essere orientato verso obiettivi di acquisizione di competenze di diverso genere (per esempio con una formazione sul campo di natura gestionale-manageriale oppure di natura progettuale oppure proprio nella direzione della ricerca).

Ma qui si torna al punto di partenza; e cioè al fatto che la costruzione di un rapporto di confronto e collaborazione tra università e mondo della professione deve essere un obiettivo del progetto formativo futuro. Ecco perché l’idea di una Summer School su questo tema mi sembra particolarmente utile e interessante.

 

 

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L’alta formazione alle competenze da una prospettiva scientifica italiana ed Europea.

W. Lorenz (Rettore della Libera Università di Bolzano)

 

Da un punto di vista formale, la formazione accademica nella disciplina dei servizi sociali prospera florida in Europa. La tendenza all‘”accademizzazione”, delineatasi già a partire dagli anni 70, è stata ulteriormente rafforzata dal Processo di Bologna, che nella maggior parte dei paesi Europei ha portato all’ampliamento dell’offerta formativa secondaria, anche nel campo dei Servizi Sociali.

L’Italia è coinvolta in questo processo, come testimonia l’aumento nel numero di corsi di studio a livello di LM e dei programmi in dottorato di ricerca. Tuttavia, come in altri paesi, questa tendenza al consolidamento delle fondamenta accademiche è accompagnato da alcune difficoltà.

Per valutare le difficoltà e le opportunità che ne risultano per l’Italia, si rene opportuno un confronto con il contesto europeo che contempla sei ambiti tematici.

1. Accesso a corsi di studi secondari – Cresce il numero dei paesi che offrono i Servizi sociali a Livello universitario. Tuttavia qui sorge il quesito, se le procedure di selezione per gli studi ed i curricula valutino la competenza accademica piuttosto che quella professionale. Il Processo di Bologna prevede due tipi di Studi Master, quello orientato professionalmente o quello orientato accademicamente. L’abilitazione agli esami di stato A dopo il conseguimento del diploma di laurea magistrale in Italia rappresenta ben un’eccezione a livello internazionale. Se da una parte questa norma permette di acquisire maggiori conoscenze specialistiche al secondo livello di studi, dall’altra preclude il passaggio tra le professioni, come riscontrato nel nostro tentativo di creare una LM integrata per il settori LM50 e LM 87. La situazione a livello di dottorati di ricerca è ulteriormente confusa. In questo caso prevale l’orientamento teorico, nonostante potesse essere auspicata assolutamente una sintesi esplicita.

2. Orientamento tecnico - a questo è collegato il quesito, se i corsi di studio secondari si debbano dedicare all’approfondimento delle conoscenze specialistiche nel proprio ambito, oppure se debbano rappresentare una specializzazione in ambiti di conoscenza ai margini dei Servizi Sociali. In molti paesi il Processo di Bologna ha fatto si che venissero offerti corsi di studio orientati al mercato, che consentono una “fuga” dal servizio sociale e che possono in questo modo causare un indebolimento della consapevolezza della propria identità di operatore sociale. In Italia la definizione dei curricula da parte del ministero non é ancora sufficientemente definita da criteri professionali. A livello di dottorati di ricerca, la situazione e´sempre ancora acuta, poichè qui, in quasi tutti i paesi regna una carenza di programmi a se stanti e gli studenti sono spesso costretti a diplomarsi di discipline „confinanti“ come Sociologia, Psicologia o Pedagogia, al posto dei Servizi Sociali stessi. In Italia ciò è direttamente collegato alla questione di una disciplina specialistica a se stante (SSD), la cui creazione sarebbe una pura illusione. L’unica via da percorrere in questo caso è il collegamento alla rete internazionale, in cui vengono sviluppati dottorati di ricerca in partenariato con università estere nelle quali l’identità dei Servizi Sociali è già creata e chiaramente rappresentata. L’esperienza della rete intorno al The International 'Social Work & Society' Academy – TiSSA offre un modello per il rafforzamento dell‘identità accademica e professionale del servizio sociale attraverso la collaborazione internazionale.

3. Personale insegnante specializzato – a questo proposito, l’Italia si trova in un vero dilemma dal momento in cui si è optato per l’utilizzo esclusivo dei corsi di studio universitari per il raggiungimento di una qualifica professionale.

Nella maggioranza dei casi, manca, proprio ai livelli formativi secondari, personale insegnante che non solo conosca teoricamente il campo del servizio sociale, ma che l’abbia creato anche concretamente e che ne abbia quindi ricavato esperienza nell’identificazione e trasposizione di temi ed idee di ricerca. Ma fintanto che l’accesso ai dottorati per Servizio Sociale resta ancora difficoltoso, questa nuova generazione non potrà formarsi in termini quantitativamente sufficienti.

Una simile carenza regna anche in altri paesi, come la Germania o l’Austria, mentre molti paesi dell’Europa centrale ed orientale fanno in modo già dall’inizio di mantenere la disciplina nelle proprie mani.

4. Collegamento alla Ricerca – è da valutare positivamente che la disciplina del Servizio Sociale abbia ottenuto ora per la seconda volta in Italia in finanziamento per un progetto di ricerca all’interno della normativa Cofin. A questo proposito in Europa esistono ancora considerevoli differenze tra paesi come il Regno Unito, la Scandinavia e la Germania, nei quali i Servizi Sociali hanno acquisito un proprio grande programma di ricerca, ed altri paesi nei quali la ricerca è isolata e spesso non organizzata sotto una guida accademica. Ma non si tratta solo della quantità dei programmi di ricerca. Cruciale è che a fronte della limitatezza della propria attività di ricerca, la strategia della evidence based practice possa dominare il dibattito sulla pratica senza che i servizi sociali possano contribuire in prima persona a definire i temi e le metodologie della ricerca. Proprio questo esempio dimostra come un vuoto nell’attivitá di ricerca dei servizi sociali assegni ad essi un programma di ricerca comunque estraneo, che non possono rifiutare senza la coscienza sporca, ma che però finisce con il proporre loro obiettivi estranei.

5. Riconoscimento per la carriera - il rapporto tra la formazione e la pratica professionale muta a livello internazionale in direzione dei meccanismi di mercato, o per lo meno nella direzione dello smantellamento di posizioni riservate per i servizi sociali qualificati. A questo proposito la professione si trova ad assumere decisioni complesse, poiché da una parte è enormemente importante regolamentare l’accesso alla professione (sebbene il percorso attraverso l’esame di stato e l’iscrizione all’albo professionale in Italia rappresenti piuttosto un’eccezione e l’iscrizione in quanto tale non sempre comporti dei vantaggi) dall‘altra una eccessiva demarcazione porta ad un incremento della concorrenza con le altre professioni, e fa si che altre professioni si sviluppino e si posizionino parallelamente ai Servizi Sociali. Paradigmatica in questo senso è la situazione nel Regno Unito, dove sotto il „sovraconcetto“ di „social care“ si formano una lunga serie di professioni, al di sotto delle quali i Servizi Sociali svolgono un ruolo minore. Per questo sarebbe meglio riesaminare a fondo le relazioni con queste discipline “confinanti” e rifondarle, eventualmente nel senso che le competenze che costituiscono il nucleo dei servizi sociali, vengano offerte anche per gli altri titoli. La questione infatti è se sia meglio proteggere e difendere il proprio titolo o curare e sviluppare, indifferentemente da sotto quale titolo, gli orientamenti e le competenze fondamentali dei servizi sociali.

6. identità disciplinare – qui affronto giá la questione dell’identità, a cui in nessun momento dello sviluppo di questo gruppo professionale è stato facile rispondere, e a cui soprattutto non si può rispondere attraverso la regolamentazione e le norme giuridiche, ma solo attraverso il dialogo con le relative realtà nazionali, politiche, culturali ed economiche. L’identità dei servizi sociali come professione e disciplina, non dovrá essere definita, come nella psicologia, da una prospettiva meramente teorica, poichè il rapporto tra teoria e pratica nei servizi sociali è sempre dialettico: da una parte la scienza ha contribuito molto alla professionalizzazione, e le nuove iniziative in riferimento alle metodologie devono avere sicuramente un fondamento scientifico. D’altra parte però l’interesse scientifico per la teoria deve ricevere impulsi dalla pratica, per non svilupparsi prescindendone. Questo vale soprattutto in riferimento alla politica sociale, alla quale il nostro corso metodologico deve orientarsi. Ad esempio, attualmente in molti paesi europei viene accentuato il concetto dell‘ „attivazione“ e i servizi sociali devono contribuire affinchè le persone siano messe nelle condizioni di affrancarsi dalla dipendenza finanziaria della previdenza sociale. Sarebbe chiaramente totalmente miope sviluppare le migliori metodologie per questo compito, senza indagare i retroscena politici di questo compito. Proprio i nostri corsi di studio secondari devono contribuire alla formulazione di questo interrogativo critico, esprimendo con ciò orientamento scientifico e contestuale rilevanza della pratica.

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Relazione di Luigi Frudà

Sintesi di Carla Moretti

 

Luigi Frudà, membro del CUN (Consiglio Universitario Nazionale), nel suo intervento ha evidenziato la situazione di particolare criticità in cui si trova la professione, la crisi economica e le nuove emergenze sociali fanno sì che il terzo settore e il privato sociale utilizzino sempre più frequentemente  figure del sociale con una formazione specifica, non universitaria, a cui richiedono di svolgere delle funzioni che potrebbero configurarsi come competenze dell’assistente sociale. In tal senso fa riferimento al mediatore culturale, al quale è richiesta una  preparazione culturale e linguistica relativamente alle diverse origini culturali dei soggetti con i quali si trova ad operare; preparazione che i corsi di laurea in Servizio Sociale attualmente non offrono. Rispetto al riconoscimento della disciplina di Servizio Sociale,  Luigi Frudà  ribadisce  che per il Servizio Sociale sono possibili concorsi solo nell’area Sociologica; a tal fine  comunica  che nel 2009 è stato redatto un documento tra l’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali e il CUN  in cui si propone che tutti gli insegnamenti di Servizio Sociale siano inseriti nel settore scientifico SPS/07 di Sociologia, a differenza della situazione attuale in cui tali insegnamenti afferiscono anche ad altri settori di Sociologia, escludendo la loro presenza in altri settori disciplinari.

 

 

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Alcuni ulteriori interventi: Lorena Rambaudi eAlberto Merler

sintesi di Luigi Gui

 

In particolare l'intervento dell'assistente sociale dott.ssa Rambaudi, assessore regionale alle Politiche Sociali della regione Liguria e coordinatrice degli assessorati alle politiche sociali per la Conferenza Stato-Regioni, ha evidenziato quanto il servizio sociale sia strettamente implicato con l'evolversi delle politiche sociali e come per alcuni aspetti ne possa risultare promotore, è coartefice ed attuatore , tuttavia nella formazione universitaria (sia di base che magistrale) il peso dato agli insegnamenti di politica sociale ed  alle relative competenze da formare non ha spesso la necessaria consistenza. L'invito di Rambaudi, dunque, è stato a valorizzare questa parte di conoscenza, in stretta relazione col le caratterizzazioni locali e regionali che vanno assumendo le politiche locali. Ne è seguito il suggerimento di tessere con i soggetti di attuazione delle politiche (in primo luogo le amministrazioni pubbliche ma anche le forme aggregate di cittadinanza attiva e di terzo settore) collaborazioni locali specifiche di sede formativa in sede formativa, per progetti formativi professionalizzanti coerenti con le esigenze particolari che vanno esprimendosi.

Dal versante della costruzione dei progetti formativi nei corsi di laurea, il professor Alberto Merler, presidente dei corsi di studi in servizio sociale nell'Università di Sassari e coordinatore (assieme alla professoressa Facchini) della Conferenza nazionale dei presidenti e coordinatori dei Corsi di laurea in servizio sociale, ha reso evidente quanto gli attuali vincoli ministeriali imposti all'università italiana rende davvero arduo l'impegno di organizzare corsi di laurea realmente  rispondenti  alle esigenze del servizio sociale: in molte sedi universitarie non si possono attivare gli insegnamenti necessari, mancano i docenti strutturati, scarseggino i fondi, è arduo organizzare i tirocini ecc. La necessità di adeguarsi alle regole restrittive imposte  dal Ministero all'Istruzione e all'Università impone ormai, pena la chiusura di molti corsi di laurea, la capacità di articolare i corsi preservando da un lato le caratteristiche essenziali della formazione al servizio sociale ma d'altro lato la fattibilità concreta di volta in volta e di situazione in situazione quasi a dover “tagliare su misura” i corsi di laurea in base ai vincoli locali. In tal senso, secondo Merler, può risultare irrealistico se non addirittura controproducente fissare ulteriori parametri formali per i corsi ed invece risulterebbe opportuno ribadire con chiarezza gli obiettivi formativi di fondo senza “bloccarsi” sugli aspetti formali. L’intelligenza creativa, dunque, starà nel salvare l’essenziale, misurandosi con i limiti dell’attuale realtà.

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Sintesi dei lavori di gruppi

 

Nella seconda giornata della Summer School si sono svolti i lavori di gruppo articolati secondo Aree tematiche relative ai Global Minimun Qualifying Standards (IASSW e IFSW Montreal 200):

 

- Obiettivi di Programma e risultati (coord. Silvana Tonon Giraldo)

- Piani di studio essenziali (coord. Silvia fargion)

- Curriculum e tirocinio (coord. Marilena Dellavalle)

- Docenti delle discipline di servizio sociale (coord. Alessandro Sicora)

 

Oltre al documento sui Global Standards i partecipanti hanno potuto utilizzare anche una sintesi delle riflessioni realizzate nell’AIDOSS dal 2005 ad oggi, materiali che, al fine di dare continuità al lavoro costante di ricerca dell’Associazione, sono stati curati da colleghi docenti e dottorandi dell’Università Roma 3 (Marisa Calore, Alessia Carta, Alessandra Fralleoni, Luigia Giuli, Elisa Noci, Cristina Tilli)  attraverso la consultazione e rielaborazione dei documenti pubblicati nei bollettini dell’AIDOSS, degli interventi nelle Summer Schools relativi agli anni 2005-2010, degli atti del seminario “Competences” tenutosi presso l’Università di Milano Bicocca nel marzo 2009 e dei Global Standards. Si è scelto di sintetizzare i materiali secondo alcune tematiche centrali nel dibattito di questi anni, ed il lavoro stato centrato in particolare su:  le competenze nel servizio sociale,  il metodo, la ricerca, il tirocinio, l’identita’ del servizio sociale. Il lavoro ha inteso dar conto, per grandi linee, del percorso compiuto dall’AIDOSS negli ultimi cinque anni; per questo motivo si è scelto di sintetizzare i contenuti emersi rimandando alle fonti per l’approfondimento del pensiero di ciascun autore, nell’impossibilità di citare compiutamente tutti coloro che negli anni hanno contribuito, con ruoli diversi, agli eventi organizzati dall’AIDOSS. I contenuti emersi nel corso della consultazione sono riferibili, principalmente, ai contributi

(articoli, relazioni, sintesi dei lavori di gruppo, ecc.) di Elena Allegri, Annunziata Bartolomei,

Teresa Bertotti, Laura Bini, Annamaria

Campanini, Maria Dal Pra Ponticelli, Marilena

Della Valle, Lena Dominelli, Silvia Fargion,

Franca Ferrario, Luigi Gui, Walter Lorenz, Carla

Moretti, Elisabetta Neve, Mauro Niero,

Alessandro Sicora, Franco Vernò.

Questa la sintesi dei lavori di gruppo:

 

1) Obiettivi di Programma e risultati (coord. Silvana Tonon Giraldo)

Si è aperto un confronto sulle rispettive esperienze e realtà che ha affrontato le diverse criticità nella valutazione, riflettendo sui luoghi nei quali è possibile sviluppare la valutazione, per poter ridefinire gli obiettivi formativi, sottolineando la connessione con il contesto organizzativo.  I luoghi individuati sono rappresentati dal tirocinio, con la presenza di più attori: studenti, supervisori, tutor dei tirocini, docenti di materie professionali, docenti altri.  E’ altrettanto necessario prevedere percorsi di valutazione in itinere, ad es. attraverso esercitazioni.

Gli esami rappresentano un ulteriore luogo di valutazione in quanto non solo verifica di conoscenze ma di come queste vengono utilizzate nella lettura della realtà.

E così le tesi, gli esami di Stato, i concorsi. Valutazioni da operare attraverso questionari ai docenti, nei momenti collegiali, nel consiglio corso di laurea, nella stesura dei RAD.

Gli attori della valutazione sono stati individuati nei docenti di servizio sociale e di altre discipline, nel mondo professionale, nel mondo organizzativo delle istituzioni e negli studenti stessi.

Oggetto della valutazione sono: conoscenze/competenze/connessioni, i “requisiti minimi” secondo  una riletture critica degli obiettivi formativi, realizzati/realizzabili, in una logica di tipo processuale.

 

2) Piani di studio essenziali (coord. Silvia Fargion)

Il dibattito si è sviluppato intorno al tema della “formazione  per competenze” che possa contrastare i rischi di segmentazione dei saperi e di un’attenzione esclusivamente quantitativa ai piani di studio e di negoziazione accademica. I requisiti essenziali devono articolarsi in un progetto globale formativo orientato alle competenze, che attribuisca un senso più profondo ad esse senza ridurle ad un mero mansionario. I

Global Standard, possono essere una risorsa per orientare le indicazioni ministeriali e le negoziazioni del Servizio Sociale nelle Università, ed infine  rappresentino un punto di riferimento per una maggiore condivisione del profilo professionale tra gli stessi docenti. 

Ciò richiede la realizzazione di momenti di condivisione e visibilità che possano sviluppare la  cultura della professione dentro l’Accademia e quindi la sensibilizzazione dei coordinatori dei

Corsi di laurea ai contenuti formativi, valorizzando le proposte di ogni docente in base alla propria disciplina ma uscendo dall’autoreferenzialità; valorizzare inoltre gli scambi interdisciplinari (sia da un punto di vista relazionale  e informale che individuando dei momenti  istituzionalmente deputati a questi scambi). Altra pista individuata riguarda l’apertura dei curricula formativi accademici al territorio in considerazione di quanto i processi culturali siano lenti e graduali, individuando un’offerta formativa a partire dalle crepe del sistema, dalle strategie più piccole, sulle criticità che emergono dai GS e parallelamente aprire un confronto con gli studenti e la socializzazione dei GS con coloro che saranno gli attori finali. Un elemento di debolezza è stato identificato nel poco tempo a disposizione dei docenti a contratto,  necessariamente tutto investito nelle lezioni frontali. Per superare la criticità di una scarsa integrazione tra le aree disciplinari e della svalutazione delle materie professionali, un’ipotesi praticabile potrebbe essere quella della costruzione di strumenti di valutazione per il tirocinio coinvolgendo anche i docenti di altre discipline. Il risultato deve essere un documento interdisciplinare con  l’individuazione di items per le diverse discipline. Il gruppo ha sottolineato inoltre che le materie professionali non producono solo prassi ma anche conoscenze: il SS deve rivendicare la produzione di conoscenza, sulla base della relazione con gli utenti nell’ottica dell’impegno sociale e in questo senso i GS sono strumento culturale di riflessione, attraverso l’uso delle competenze critiche, per non aderirvi quali prescrizioni, ma adeguandone l’uso allo specifico contesto.

 

3) Curriculum e tirocinio (coord. Marilena Dellavalle)

Il gruppo ha avviato la discussione a partire da quanto indicato al punto 3 delle Linee guida internazionali per la formazione degli assistenti sociali (Global Standard) concentrando la riflessione su alcuni punti fondamentali quali la considerazione del tirocinio come parte integrante del curriculum, con particolare riferimento all’autorevolezza di questo componente del percorso formativo e alla sua visibilità e come opportunità di apprendimento: si è posta in luce la necessità di garantire opportunità in tutte le dimensioni dell’esercizio professionale, senza trascurare la formazione al saper essere. A tal fine devono essere garantiti spazi strutturati di rielaborazione rispetto alle aree cognitive e a quella della soggettività, oltre al raccordo teoria/prassi.

E’ fondamentale inoltre la connessione tra i corsi di laurea e gli enti: in tutti i corsi di laurea rappresentati sono attive convenzioni con gli enti ospitanti e in tre casi anche con Enti regionali o provinciali che prevedono anche finanziamenti; ciò favorirebbe inoltre la connessione fra corsi di laurea e comunità professionale e orientamento/sostegno ai supervisori: in tutte le realtà rappresentate esistono offerte di eventi dedicati allo scambio, al confronto, ma sono necessari anche momenti strutturati e finalizzati a guidare/monitorare l’attività dei supervisori in termini coerenti con gli obiettivi formativi, anche attraverso il contributo di supervisori più esperti.

Tra le esperienze più significative da estendere è stato rilevato come  in 5 delle 8 sedi universitarie rappresentate nel gruppo di lavoro è stato predisposto un manuale di tirocinio come indicato nelle linee guida e in 2 corsi di laurea la procedura del tirocinio è stata accreditata. 

Un ulteriore problema è rappresentato dalla realtà dei tirocini nei corsi di laurea magistrale, che è apparsa molto variegata, sia in termini di prevalenza degli obiettivi formativi sia rispetto ai curricula. Per questo si propone una ricognizione approfondita  rispetto ai diversi atenei. Si segnala la necessità di attivare tirocini nell’ambito delle politiche sociali e dell’integrazione socio sanitaria, non disperdendo opportunità offerte da realtà in cui non è presente la figura dell’assistente sociale qualora siano qualificate in termini di dirigenza, direzione, programmazione, valutazione e ricerca. Ciò anche allo scopo di esplorare nuove prospettive professionali. 

Tra le risorse considerate necessarie per disporre di una struttura dedicata al tirocinio: segreteria amministrativa, tutoraggio svolto da assistenti sociali, coordinamento del tirocinio, realizzazione di di attività di rielaborazione in laboratori dedicati

Alcuni degli aspetti di rilievo emersi dal lavoro di gruppo sono riconducibili alle riflessioni di altri gruppi, in un’interessante convergenza che dovrà essere valorizzata: come la necessità di costruire connessioni interdisciplinari e la condivisione degli obiettivi del tirocinio evidenziando i punti di incontro con i contenuti degli insegnamenti del corso di laurea; ancora, la rilevanza della rielaborazione e della valutazione finale dell’esperienza di tirocinio alla luce della congruità del tirocinio con gli obiettivi formativi.

Ulteriori riflessioni emerse concernono l’importanza dei laboratori intesi come spazio di riflessione e rielaborazione teoria-prassi  e degli aspetti emozionali del rapporto con l’utente.

Tra le piste fondamentali individuate, quella dell’accreditamento dei supervisori con il requisito di possedere almeno 3 anni di servizio e un più efficace incontro tra Università e comunità professionale così come è auspicabile la costruzione di Linee Guida Nazionali per il Tirocinio in collaborazione con l’Aidoss – l’Ordine professionale  – la Conferenza Presidenti CLASS e CLAM e la disseminazione di studi ed elaborazioni dei percorsi di tirocinio, delle buone prassi, attraverso la pubblicazione su riviste di Servizio sociale, notiziari degli Ordini regionali, nonché la valorizzione del tirocinio nel sito Aidoss con uno spazio dedicato nel quale avviare lo scambio di esperienze in termini di metodologia, strumenti e strutture.

E’ inoltre necessario un maggiore stanziamento di risorse finanziarie messe a disposizione dagli Atenei per l’organizzazione del Servizio tirocinio considerando la possibilità di co-finanziamento grazie ai contributi di enti esterni all’Ateneo quali la Provincia o la Regione.

 

 

 

4) Docenti delle discipline di servizio sociale (coord. Alessandro Sicora)

Il gruppo ha lavorato partendo da una “fotografia” della situazione delle docenze di servizio sociale a partire dalla distanza registrata nella realtà italiana dalle linee guida e dalla presenza di differenze in ambito nazionale che vede una quasi totale copertura degli insegnamenti con docenti a contatto (retribuito/gratuito), mentre gli incardinati sono rappresentati da 1 ordinario, 3 associati, 6 ricercatori (figura controversa)

Le caratteristiche registrate nella figura del docente di servizio sociale sono individuabili in una selezione docenti condizionata quasi esclusivamente da logica accademica e finanziaria, dall’inadeguatezza del numero docenti rispetto al numero degli immatricolati con accesso aperto. Altrettanto inadeguato appare il numero dei CFU/ore attribuiti ai corsi di principi e metodi.

Sul piano dei requisiti sembrano prevalere la “storia” formativa (anche solo dottorato?) e/o lavorativa ma con numerose eccezioni.

Fattore positivo è rappresentato dalla forte connessione con la realtà operativa e nel rapporto con il territorio che fa emergere il rischio da incardinamento, mentre vanno valorizzate le opportunità legate all’organizzazione e alla strutturazione del tirocinio, in alcune realtà  “rinforzata ad hoc” (es. TO) e dagli appositi spazi di incontro da costruire  (p.es. Uni si “prende” una circoscrizione).

E’ stato affrontato inoltre il tema della falsa equivalenza tra bravo assistente sociale e bravo docente di servizio sociale: entrambi i ruoli richiedono formazione continua, adeguata e specifica.

Come in altri gruppi, viene ribadita la necessità di formazione e aggiornamento che superi l’autoreferenzialità e la solitudine dei docenti, che devono maggiormente impegnarsi nella ricerca e nelle pubblicazioni: la situazione si presenta eterogenea ma complessivamente fragile: l’opportunità rappresentata dalla partecipazione ai percorsi PRIN è poco valorizzata, c’è poca vera ricerca sul servizio sociale.

Le criticità rilevate sono inoltre collegate allo scarso coinvolgimento nelle decisioni accademiche, laddove, molto spesso, i docenti a contratto non hanno possibilità di incidere, non sempre sono presenti nei consigli di Corso di Laurea ed emerge inoltre una significativa distanza dell’Accademia dal territorio/comunità, dalle politiche sociali.

Le convenzioni tra enti e università, spesso attivate per l’esigenza di aderire ai requisiti minimi, consentono l’apertura di corsi di laurea ma prevedono, secondo le direttive del Miur, l’insegnamento comunque al di fuori dell'orario di lavoro. Quindi se da un lato questa formula consente una sostenibilità finanziaria e la connessione con le realtà operative, d’altro canto il limite potrebbe essere la sottrazione di risorse umane all’ente o la sottrazione del tempo e la disconferma all’ operatore.

Il gruppo ha quindi individuato possibili strategie nel rapporto con l’Ordine professionale, per la condivisione dei requisiti limite, non a fini “autopromozionali” di singoli, e un maggiore scambio, all’interno dell’AIDOSS, di informazioni sulla struttura dei corsi e sulle attività di ricerca in fase di svolgimento.

Un altro persorso possibile è quello di intensificare il dialogo e l’alleanze tra docenti professionali e  altri docenti e la formazione sulla didattica, sulla rappresentazione della professione, sui nodi teorici.

L’ AIDOSS e l’ Ordine Professionale possono essere rinforzati quali soggetti collettivi con funzione di lobbing, superando le negoziazioni locali.  Parallelamente le Università possono essere sostenute nel reperimento di risorse economiche attraverso progetti, formazione continua, master, ricerche commissionate e finanziate da enti; pur nella consapevolezza dell’esistenza, oggi, di grandi vincoli nella spesa della Pubblica Amministrazione, anche le Regioni, gli Enti Locali ed il Terzo settore  potrebbero essere maggiormente coinvolti in questi processi.